IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #15 on: May 07, 2011, 16:25:50 pm »
0
Dai, su, bisogna arrivare almeno al xxxv capitolo, oggi.

Tutto Torna

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Offline bushi highlander

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #16 on: May 08, 2011, 00:08:48 am »
0
Sono proprio curioso di sapere come è andata a finire...
Tas e tira!

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Manut

Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #17 on: May 08, 2011, 01:18:51 am »
+2
se mi dici che poi ne farai un romanzo, lo comprerò anche sapendo la fine
« Last Edit: May 09, 2011, 14:37:43 pm by Fudo myo (Neco) »

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #18 on: May 09, 2011, 10:49:26 am »
+1
PARTE V - Si comincia...

 

Mi voltai verso Simone, l’istruttore di Aprilia, “Perché non vai a dirgli che quelle maglie sono orribili?”, Simone rise e mi rispose “diglielo tu, io ti seguo”. “Ma dai, non fare il vigliacco, tu sei più grosso, anche a te non piacciono quelle magliette. E quei pantaloni così larghi? E il cinturone? Ne vogliamo parlare?”. Lo afferrai per il braccio, simulai di volerlo portare da uno dei tre olandesi, alzai un po’ la voce “ehm…. scusate, c’è questo ragazzo che vorrebbe esprimere un commento sulla vostra divisa”. Simone rise divincolandosi.

Un battito di mani. Alberto attirava l’attenzione per radunarci.
Le porte vennero sprangate, i cellulari spenti, le telecamere e le macchine fotografiche confiscate e fatte a pezzi. Scherzo!!
Si cominciava.
Alberto, Emilio e gli olandesi da una parte. Noi partecipanti, poco più di venti, ospiti esclusi, schierati di fronte a loro.

La voce impostata e orgogliosamente emozionata di Alberto introdusse i tre ospiti. Dopo aver detto loro qualcosa a bassa voce in inglese, si voltò verso di noi e ci spiegò brevemente cosa stavamo per fare. Le presentazioni: Walter, s’era capito chi fosse. Quello alto. Anand, quello scuro, indonesiano o chissà cosa. Olivier, il biondo. Quello con la faccia più simpatica. Il modello delle Versace Airways.

Mi asterrò dal riportare i cognomi, come procedendo con questo mio diario, mi asterrò dal riportare altri dettagli e particolari che non siano strettamente informazioni personali.
Alberto concluse il suo cappello introduttivo con la frase: “signori, state per vedere qualcosa di assolutamente unico”. Sorrisi. Un sorriso di sfida. Volevo proprio vedere.

I tre si guardarono, borbottarono in lingua olandese. Anand, lo scuro, guardò e chiese qualcosa a Olivier. Questi bofonchiò qualcosa a Walter, e Walter con espressione falsamente distratta, fintò il gesto di non aver capito. Alzò spalle e sopracciglia aggrottando la fronte, abbassò gli angoli della bocca in un’espressione indifferente e fece il gesto con la mano a Olivier di farsi avanti. Avrebbe parlato Olivier. Anand sorrise, Walter si incamminò come per assistere alla scena dal nostro punto di vista, grattandosi la nuca con fare innocente e scherzosamente non assumersi alcuna responsabilità per quello che Olivier avrebbe detto. Quest’ultimo si fece avanti con aria rassegnata ma gratificata. Una scenetta molto poco formale per noi abituati al maestrone impostato e con aria seriosa che si incontra spesso ai seminari internazionali.

Capimmo subito che sarebbe stato un seminario atipico, informale e che tra quei tre ci fosse una profonda amicizia e confidenza. Walter era decisamente il più anziano. Il punto di riferimento dei tre. Nonostante avesse l’aria più distratta e spaesata. Nonostante non venisse da loro palesata la benché minima forma di gerarchia, decisamente Walter sembrava il fratello maggiore.

Olivier parlò per circa dieci minuti.

Ci fece un breve sunto sulle arti marziali indonesiane, sui principali stili. Ci parlò di Cimande, il principale stile dell’isola di Java. Pare che molti, se non tutti gli stili di Java provengano da lì. Introdusse il Pukulan. Riporterò esclusivamente i punti principali della sua introduzione, riservandomi i particolari e gli approfondimenti in altre pagine del mio diario.

Si rivolgeva a tutti, non ostentando alcuna emozione o imbarazzo a stare avanti a diverse persone.
Il suo sguardo cadeva su ognuno di noi, permettendoci di non distrarci. L’inglese perfetto, la voce alta e chiara, intervallata dalla traduzione italiana di Alberto per i non anglofoni. Gesticolava quel tanto che bastasse per accompagnare la sua spiegazione enfatizzando alcuni passaggi. Mi ricordò quelle spiegazioni che le hostess di volo fanno prima del decollo, indicando le uscite di emergenza, i salvagente e le mascherine per l’ossigeno. Solo in seguito appresi che Olivier era uno steward delle linee olandesi Klm.

Questi i passaggi fondamentali: “Pukulan è l’Arte del Colpire. Pukul vuol dire colpo. E non importa cosa accade, cosa fa l’avversario o l’aggressore. A noi interessa colpire. A differenza di altri stili di Pencak Silat, la nostra strategia principale è questa. Colpire! Mantenere costantemente l’iniziativa, dall’inizio alla fine della disputa, camminare, camminare e colpire. Niente passi indietro, niente parate, schivate o azioni difensive. Noi avanziamo e colpiamo. L’importante è farlo sempre seguendo un principio cardine. Quello della ‘via più breve’. Pukulan, in definitiva è la ‘via più breve’. Il Pukulan è diverso dal Pencak Silat. E’ una cosa indipendente. Il Pukulan è Pukulan”.

Ce lo disse con un’espressione tranquilla, sorridente e serena. Come se non stesse parlando di uno stile da combattimento, ma di alcune pagine del Vangelo.
Venne il turno di Anand. Un rapido saluto e si partì con i giri di campo per riscaldarsi un po’.
Nessuna novità, tutti li conosciamo. Walter e Olivier parlavano con Alberto e Emilio indicando delle zone del palazzetto. Ne scelsero una e si accovacciarono per iniziare ad attaccare a terra del nastro adesivo. Una x, un +, unirono i vertici, una serie di triangoli in sequenza. Sembrava una girandola. Triangoli racchiusi in quadrati che creavano altri triangoli. Linee rette che indicavano in ogni direzione intersecandosi con altre linee rette. Una figura geometrica ne creava un’altra. Tutto nello spazio di poco meno di due metri quadri.

Il riscaldamento di Anand si fece più intenso. Alcuni esercizi erano tipici delle arti marziali orientali, altri sembravano delle figure che avevo visto in alcuni capitoli sulle arti marziali indiane di libri di arti marziali che possedevo. Poi eseguimmo degli esercizi di respirazione, accompagnando il respiro a movimenti delle braccia. Un misto di yoga e respirazione qi gong. Sembrava dovessimo espellere tutta la tensione. L’inglese di Anand era corretto e morbido nella pronuncia. Le c, le s molto arrotate. Ci descriveva nei dettagli gli esercizi tenendoci a specificare il significato e l’utilità. Durò circa dieci minuti. Walter e Olivier avevano terminato da un po’ il loro disegno a terra fatto col nastro adesivo. Ci avvicinammo tutti con estrema curiosità, cercando di decifrare l’enigma che vedevamo al suolo. Sembrava qualcosa uscito da un libro di Dan Brown. Cercavamo di immaginare cosa farci, come muoversi lì dentro, come quel tracciato andasse utilizzato.

Ci sedemmo a terra e Olivier ci spiegò a grandi linee i passi principali. Il footwork del Pukulan. Langka. Uno dei termini più importanti del Silat indonesiano. Langka viene spesso utilizzato per indicare una posizione, ma in realtà vuol dire spostamento, passo. La “Tre”, la “Quattro”, la “Cinque”. I tre passi/posizioni fondamentali dello stile. Ok. Dov’erano “Uno” e “Due”. “Uno” e “Due” semplicemente non esistevano. Il nome dei Langka non era dato dal loro ordine cronologico di apprendimento ne da alcun tipo di progressione. “Tre” descriveva un triangolo, tre erano i lati descritti dalla meccanica corporea per eseguirla, tra piedi e punto di impatto. La “Tre” era per camminare. “Quattro” perché si era su un lato di una quadrato, a piedi paralleli. “Quattro” era per partire e di passaggio. “Cinque” era su una linea retta. “Cinque” è per bucare. Poi appresi che “Five is to finish!”. Per descrivere la “Cinque” occorrerebbe un trattato a parte. Per apprendere la “Cinque” anni di allenamento. Ma di questo ne parlerò poi. Olivier ci descrisse il footwork con degli esempi e con leggeri passi nelle figure geometriche disegnate. Facile da guardare ma difficile da eseguire. Non guardava a terra. Non controllava dove fossero i suoi piedi. Ma si trovavano esattamente dove le linee si incontravano. Nessuna sbavatura. Una precisione millimetrica. I punti cardine della girandola stilizzata si trovavano a un metro esatto l’uno dall’altro. Il nastro adesivo era stato posto a terra con l’ausilio di un metro e un metro esatto erano i passi di Olivier. Ci mostrò come si potesse raddoppiare o dimezzare ogni spostamento, immaginando e proiettando mentalmente ulteriori figure geometriche all’interno di quella più grande, ma anche come fosse possibile proiettarne altre fuori, moltiplicando linee, direzioni e angoli. Il Pukulan ha una sua matematica e una sua geometria. La sua matematica appartiene e funziona in una dimensione alternativa alla nostra realtà. Non sono pazzo, lo state pensando, lo so. Ma nel Pukulan, ad esempio, quattro è la metà di tre e tre è la metà di cinque. Così come quattro è un terzo di cinque e tre ne rappresenta i suoi due terzi. Non solo. Possiamo tranquillamente concludere che quattro più tre fa cinque.

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #19 on: May 09, 2011, 10:57:57 am »
+1
PARTE VI - dalla teoria alla pratica

Olivier non risparmiava particolari e esempi, invitando i presenti a chiedere se vi fossero domande, curiosità o dubbi. Anand e Walter aggiungevano qualche loro esempio o completavano il quadro generale sul footwork del Pukulan.

Passammo poi ai colpi principali e loro relative linee. Ogni colpo del Pukulan segue una linea precisa in base alla posizione o spostamento. Olivier illustrò i colpi eseguiti dalle posizioni sopradescritte. Alcuni seguivano la linea delle spalle, altri cercavano una ‘linea centrale’, intersecando le linee descritte a terra, altri seguivano una singola linea di tutto il corpo. I piedi indicavano alcune bisettrici, le ginocchia assecondavano diligentemente le direzioni dei piedi, le gambe ben piegate, mai ferme, variavano il livello e l’altezza con gli spostamenti e come due stantuffi erano il motore dell’intera macchina. Le spalle si allineavano ad altri angoli o al medesimo delle gambe e le braccia colpivano, si aprivano e scattavano verso il vertice di altri angoli. Leggere i movimenti, quel giorno, fu impossibile. Si intravedeva il senso, ma comprenderlo era tutt’altra cosa.

Per loro era tutto naturale, spontaneo e meccanico. Biomeccanica è il termine che più si può associare a quei movimenti geometrici. Non andava mai fuori asse, il bilanciamento era sempre equamente distribuito tra le due gambe, le posizioni salde pur esprimendo dinamicità.

Armonia, precisione e potenza erano mescolati con esperienza come se stesse bevendo un bicchier d’acqua. Praticammo alcuni colpi di base, ci venne spiegata la respirazione da seguire e come accompagnare i colpi con entrambe le mani. Spesso una era aperta, l’altra chiusa a pugno. Una faceva da supporto all’altra. Coordinare quel semplice gesto in velocità non era facile.

Olivier non era un marzialista qualunque. Presidente della sede di Amsterdam di una delle associazioni per la diffusione delle Arti Marziali Indonesiane più importanti al mondo, pluricampione di forme e esperto di più stili: Sebandar, Sera, Cimande, Cikalong. Olivier aveva vissuto a Java apprendendone l’idioma alla perfezione e conosciuto persone, luoghi e maestri a cui pochi occidentali era stato permesso accedere.

Fu il turno di Walter. Il suo fisico meno armonico rispetto a quello atletico di Olivier, la sua andatura dinoccolata, le sue leve lunghe non lasciavano presagire eguale eleganza nei movimenti. Ma nonostante accennasse semplicemente i movimenti, senza porvi eccessiva enfasi, si muoveva con altrettanta perizia.

Avremmo visto i primi ‘Jurus’.

Nelle arti marziali tradizionali vengono generalmente codificate tecniche all’interno di una sequenza memorizzata allo scopo di poter allenare, se da soli, i colpi, gli spostamenti e le posizioni.

Molte arti marziali hanno questo tipo di combattimento immaginario codificato che in italiano prende il nome di “forma”. Il corrispettivo di ciò che nel più famoso Karate in giapponese viene chiamato ‘Kata’, nelle arti marziali indonesiane prende il nome di ‘Jurus’. La versione indonesiana di queste forme, almeno nel Pukulan, è molto più breve di quelle della loro controparte cinese o giapponese. Per memorizzarle sono necessari pochi minuti. Per padroneggiarle sono necessari anni. Per comprenderle a fondo è necessaria una vita. Un breve Jurus contiene al suo interno centinaia di applicazioni e movimenti nascosti. Alcuni vengono spiegati, altri vanno cercati, altri interpretati e altrettanti intuiti. Il corpo apprende, il corpo insegna. Il cervello e i muscoli si mandano reciproci impulsi e comandi. Un continuo incessante scambio di informazioni e un esercizio psicomotorio, la ricerca del proprio centro, il proprio equilibrio. Eseguire un Jurus, anche lo stesso centinaia di volte, è illuminante in termini tecnici. L’intero corpo respira nei suoi movimenti codificati e ogni esecuzione è la scoperta di nuovi dettagli. La respirazione, lo sguardo, il ‘timing’ giusto, la possibilità di darvi ritmi diversi in base alla propria capacità di interpretazione e fantasia o in base al proprio stato d’animo attuale. Tutto ciò trasforma qualcosa di apparentemente automatico in qualcosa di vivo e pulsante. Uguale ma diverso.

Nelle arti marziali tradizionali, le ‘forme’ sono il cuore del sistema. Io provenivo da arti marziali e sport da combattimento che non annoveravano ‘forme’ nel loro programma. Non v’erano ‘forme’ nella Kick Boxing, non ve n’erano nel Ju Jitsu Metodo Bianchi che praticai per qualche mese, non ve n’erano in quel po’ di Capoeira, fu una tortura memorizzarne una di Taekwondo, non ve n’erano nel Jeet Kune Do. Bruce Lee non ne aveva gran considerazione. Non ve n’erano nel Kali-Escrima. Alcuni stili le hanno inglobate nel loro programma. Ma si tratta di una giapponesizzazione. E’ un espediente didattico. Le uniche forme che avessi mai appreso erano quelle del Taiji Quan studiato con la moglie del mio lettore di cinese sui tetti del loro palazzo nei vicoli di Napoli, e, per comprendere meglio il Jeet Kune Do seguii delle lezioni private di Kung Fu stile Wing Chun, imparando la prima delle tre forme a mani nude dello stile: la ‘Siu Nim Tao’ o ‘Piccola Idea’, al fine di assimilare il concetto di linea centrale e eseguire meglio e secondo le giuste linee quei concetti attorno ai quali Bruce Lee aveva cucito sulla propria pelle il proprio Jeet Kune Do, partendo da principi di Wing Chun, Scherma e Boxe occidentale. Non molto tempo dopo averle apprese, non fui mai molto tentato di ripeterle, dimenticandone i dettagli negli anni. Non ero certo un fan sfegatato delle forme. Di qualunque arte marziale esse fossero. Non feci salti mortali per la gioia quel giorno all’idea di vederne alcune del Pukulan e contavo i secondi per smettere di ripetere quei pochi movimenti e iniziare a vedere le applicazioni. Fino a quel momento avevo visto sicuramente grazia ed eleganza, precisione, tecnica, simpatia degli ospiti ma nulla per cui fossi lì. Erano già passate circa due ore di allenamento.

Smettemmo con gli esercizi a vuoto, sicuramente interessanti, esemplificativi dell’arte, ma ero proiettato da mesi verso quell’immagine descrittami d Alberto e volevo scoprire quanto aderisse alla realtà o quanto era stata gonfiata allo scopo di attirarci lì.

Qualche altra spiegazione da parte di Walter. Il suo tono di voce era diverso. Un oratore meno navigato di Olivier. Chiamò Anand per assisterlo e si accinse a mostrarci alcune possibili applicazioni dei brevi tre Jurus che avevamo eseguito. Finalmente potevo vederlo in azione.

Il comune denominatore di quelle poche applicazioni che introdusse per scaldare i motori fu un’aggressività al di là dei canoni comuni di qualunque seminario cui avessi partecipato. Ai minimi accenni di movimenti di Anand, Walter si spostava colpendo ripetutamente e camminando verso di lui a zigzag. O meglio … camminando ‘dentro’ di lui a zigzag. I colpi di Walter venivano accompagnati da esclamazioni di dolore dei partecipanti, indotte dagli impatti che Anand assorbiva digrignando i denti e assumendo con il viso un’espressione aggressiva e di pronta reazione. Subito dopo, un accenno di sorriso. Walter non caricava le tecniche, lasciandole partire da dove braccia o gambe si trovassero. La fine di una tecnica era l’inizio di un’altra, ogni movimento non veniva sprecato. Un caricamento era anticipato o seguito da un’altra tecnica. Spesso alcuni colpi proseguivano dopo aver colpito la loro corsa in un’altra parte del corpo dell’aggressore. Le gambe di Walter impattavano automaticamente le caviglie, le ginocchia o le tibie di Anand rubandogli la posizione, spostandolo quel tanto che bastasse per non dargli la possibilità di reagire. Come un animale che esce da un fiume scrollandosi di dosso l’acqua, Walter scuoteva le spalle e le braccia mulinavano su Anand preparando e progettando il colpo successivo. Era lui a decidere dove Anand dovesse spostarsi, quale la direzione della testa, quale gamba regalare e sacrificare alle tibie di Walter. Non era Walter a cercare i bersagli, ma gli stessi bersagli andavano verso gli spigoli di Walter. Gomiti, avambracci, nocche, polsi, tibie, ginocchia, tutte le sue ossa erano pronte ad attendere l’arrivo di qualche parte del corpo di Anand come se inconsciamente sapessero già i loro punti di arrivo. Lavorava sulla meccanica del corpo umano in modo fluido ma potente.

Notai come fosse necessario colpirsi. Se quei colpi non fossero arrivati con la giusta potenza, pur sempre controllata, dopotutto Anand non riportò alcun problema fisico e finiva di subire sorridendo, Walter non avrebbe avuto da parte del suo assistente la giusta reazione. Se camminando nella sua gamba, ad esempio, il passo non avesse impattato prima di poggiare a terra, nella caviglia di Anand con la giusta potenza, questi non avrebbe reagito spostando quella gamba per l’impatto, sbilanciandosi in avanti, cadendo con la faccia sul gomito di Walter e lasciando la gamba rimasta a fare da supporto lì per il colpo di grazia dell’altro passo-colpo di Walter di tibia o di ginocchio.

C’era una parola per tutto quello: consequenzialità.

Quante arti marziali avevo visto. Tutte avevano i loro pugni diretti, le gomitate e calci frontali, laterali o circolari. Le meccaniche erano quelle. Variavano dettagli, particolari o punti di impatto. Ma i concetti di base si somigliavano. Questo era diverso. Trovavo tutto così logico. Non c’era bisogno di alzare una gamba e colpire in viso o all’addome l’avversario. Si andava a far scontrare la cosa che più al mondo siamo abituati a fare, il semplice camminare, usando i passi come colpi, cercando le gambe dell’avversario per poggiare i propri piedi, intersecando le linee, utilizzando le ginocchia come spigoli nelle ginocchia, le tibie nelle tibie. Non si assumeva alcuna guardia, le braccia che si sarebbero utilizzate per camminare, ciondolando avanti e indietro e controbilanciando gli spostamenti delle gambe di una qualunque passeggiata divenivano movimenti per colpire. Lo trovavo geniale, originale e il modo di applicarlo, quell’aggressività, quella determinazione che si leggeva sul volto di Walter accompagnava nel giusto modo la sensazione di incisività di ogni singolo colpo. Stavamo osservando alcune applicazioni dalla posizione-spostamento “Tre”. Avevo finalmente visto il motivo di quella strana posa della foto di Walter. Ma cosa dico. Non era una posa. Non vi sono posizioni nel Pukulan. Era un attacco. Una gamba avanti, in una probabile foto di Pukulan è già un colpo, un gomito posizionato verso il basso è già un cercare qualcosa da colpire e il guardare l’obiettivo è già una promessa di dolore.


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Offline happosai lucifero

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #20 on: May 09, 2011, 11:51:26 am »
0
sono davvero dei bei diarii, ed alimentano tremendamente la mia curiosità! non vedo l'ora di conoscerti!
« Last Edit: May 21, 2011, 16:14:21 pm by happosai »
There are more things in heaven and earth, Horatio,
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Offline Ethan

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #21 on: May 09, 2011, 12:43:06 pm »
+1
è davvero un piacere leggerti,sembra  di essere lì  ;)

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Offline happosai lucifero

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #22 on: May 09, 2011, 14:26:58 pm »
+1
sono perfettamente d'accordo con il signore col nick arabo! l'unico effetto collaterale è che viene una voglia terribile di vedere come vi muovete! anche perché io non so nulla del Pukulan...

comunque secondo me Claudio e Joseph sono due cronisti di grande talento, hanno doti narrative fuori dal comune. thread come questo, o come Maroc Judo, potrebbero tenermi incollato al monitor per giornate intere.

adoro questo forum, soprattutto quando vengo in contatto con utenti come voi
« Last Edit: May 21, 2011, 16:14:08 pm by happosai »
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Offline Muay Jack

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #24 on: May 09, 2011, 16:14:18 pm »
0
ma scherzi?!?
grazie a voi per l'interesse   ;)


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marco

Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #25 on: May 09, 2011, 16:53:43 pm »
0
Grazie Claudio, è sempre un piacere leggerti!
mi associo (a parte quando disserti de filosofia :gh:)

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Offline Ale_ale

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #26 on: May 09, 2011, 17:02:19 pm »
+1
Grazie Claudio, è sempre un piacere leggerti!
mi associo (a parte quando disserti de filosofia :gh:)

Mi associo anche io... anche se in ufficio il mio capo ne sarà un pò meno contento  :gh:

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #27 on: May 09, 2011, 18:39:25 pm »
0
il mio capo ne sarà un pò meno contento  :gh:
tibialo da 'tre' :-)

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Offline Claudio Alfarano

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Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #28 on: May 10, 2011, 09:25:41 am »
+3
APPENDICE A - Resoconto di un prigioniero…

Crocifissione.
Tale è il verdetto.
Il prezzo degli errori in questo tempo.
Il prezzo delle scelte che ho ormai fatto e che più non lascian scampo.
Mi imbarcai per l’oriente ai tempi di Filippo II. In cerca di ventura ed avventura.
Ivi sognai in quelle terre il mio Eldorado.
Così fu. A cavallo dei due secoli e il fato fu a disarcionarmi ingrato.
Sfuggii alla fame e alla peste andando verso un altro destino contorto.
Ma non v’è pentimento ne sconforto.
Servimmo la corte portoghese
con chi tra noi mai più rivide moglie, figli e case.
Insidiosi mari, lo erano per flutti, pirati e corsari,
talvolta stranieri e ignoti e ancor più spesso miei compatrioti.
Soldati, mercenari su un vascello,
il sangue nostro diede a quelle mappe i colori del nostro vessillo.
Mi incoronai re di Syriam.
Io, lusitano, vi regnai per un tempo di tre lustri.
Assediati fummo dal Nord e dal malvolere di quegli astri.
Mentre scrivo preti e missionari sono in fuga e in cerca di rifugio.
Il Siam la sperata meta e quella terra dia a quei santi i meritati agi.
Che Dio li protegga e perdoni me. Ne accetti il pentimento.
Perdoni tutti noi, per razzie, pirateria, traffico di schiavi e sfruttamento.
Ma non è per cantar la mia disgrazia che ora scrivo, quanto per descriver nascita, vita e morte dell’espansione lusitana e la sua sorte.
Annoto il resoconto prima dell’ultima mia cena, accettando il mio destino legato a quella sacra icona.
Un onore al quale farei a meno volentieri.
Lascio il resoconto a topi e prigionieri.
Non mi importa se stomaco o memoria.
Per conquistar vestigia di una tal misera gloria, darò il mio contributo a questa storia.


L’espansione europea in estremo oriente iniziò con noi portoghesi.
Ma come una zanzara che si avventa su un branco di Karbau (bufalo d’acqua), ci avventammo su Giappone, Cina, giungendo a controllare l’intero commercio delle Indie.
Fortunati per la nostra posizione geografica, marinai abituati al mare aperto, costruimmo le prime robuste caracche a poppa alta, stimolati dalle guerre contro i mori e dalla rivalità con la sorella Spagna.
Il principe Enrico il Navigatore, spinto da zelo religioso, da interessi commerciali e scientifici, a metà del XV secolo diede il via alle spedizioni. Capacità nautiche, cartografia, commercio di schiavi e oro erano ormai ampiamente sviluppati due generazioni dopo al tempo di Bartolomeo Dias.
Il nostro interesse era costruire basi per condurre la guerra contro i musulmani e il controllo del traffico delle spezie.
Capo di Buona Speranza, Golfo Persico, Mar Rosso, giungemmo fino a Goa nel 1510, lungo la costa occidentale dell’India e poi Malacca, sull’omonima penisola.
Da lì alle Molucche, le ‘isole delle Spezie’.
Era di primaria importanza per noi riuscire a controllare due bracci di mare: lo stretto di Malacca, tra Malesia e Sumatra; e lo stretto di Sunda, tra Sumatra e Java Occidentale.
Da lì sarebbe stato possibile controllare le rotte commerciali, e il commercio delle spezie: pepe, chiodi di garofano, noce moscata.
Un controllo che non fu mai assoluto.
Tentammo il dominio della via delle spezie ma alcuni stati di Java che avevano adottato l’islamismo, ci impedì di arrivare al monopolio.
Partendo da Malacca, centro commerciale, marittimo e di pirateria, la religione islamica s’era ben presto diffusa in Malesia, Sumatra e lungo le coste orientali e centrali di Java, fino alle Molucche.
I nostri storici nemici erano ancora lì, volti diversi, terre diverse, ma loro, l’Islam non ci dava tregua come noi non la davamo a loro.
La crociata nel Sud-Est Asiatico non fu meno cruenta e violenta di quella in Occidente e Medio oriente.
Non era più lo stretto di Gibilterra il teatro della guerra, bensì quelli di Sunda e di Malacca.
Ma peccammo di superbia.
Fummo logorati da quei luoghi. Fame di ricchezze, matrimoni misti, lusso e agiatezza ci fiaccarono nello spirito e nel fisico.
Disorganizzati e scarsi di numero per territori così vasti, i nostri capi non erano grandi condottieri e capitani. Bensì avventurieri in cerca di fortuna.
Fummo costretti ad allearci con potentati e fazioni locali.
Intervenimmo ovunque, Birmania, Siam, in qualità di mercenari o pirati indipendenti.
Io fui tra quelli.
Mi incoronai re di Syriam, e regnai in Birmania meridionale per quattordici anni, dal 1599 a oggi, data in cui scrivo, Settembre 1613.
Siamo stati assediati dall’esercito del Nord. Catturato e imprigionato, sono ora in attesa della mia esecuzione, che avverrà l’indomani per crocifissione.
Dovrei esserne onorato come Cristiano.

Felipe de Brito
Settembre 1613


L’espansione portoghese si concluse quando il Portogallo si piegò al dominio della corona spagnola.
Quando riconquistò l’indipendenza nel 1640, la sua potenza era stata superata da quelle inglesi e olandesi, assai meglio organizzate.
Stava per iniziare il dominio olandese nell’arcipelago malese.
Con tutto ciò che comporta ai fini della nostra ricerca.

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Luca Bagnoli

Re:IL 'FRUTTO AMARO': Le Cronache del Pukulan
« Reply #29 on: May 10, 2011, 09:34:01 am »
0
Claudio te lo ripeto : sei un eccellente narratore !!!