Noble? Art? Sweet? Science?

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Offline Sunny K

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Re: Noble? Art? Sweet? Science?
« Reply #15 on: June 28, 2010, 16:43:52 pm »
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ma definirla nobile mi sembra un pò forzato

perchè?

perchè lo dico io a te a Sunny K
cosa c'è di nobile?
perchè per ognuno è nobile la sua....
alla vai nella sezione karate e scriveranno la nobile arte
vai nella sezione Lua Hawaiano e scriveranno la nobile arte delle hawaii

Vedi, Fanchinna, non c'era niente di personale nel mio usare l'espressione Noble Art nella discussione di cui la presente è filiazione. E' semplicemente un'espressione attestata da lungo tempo e che, prima del tuo commento, ritenevo pressoché universalmente conosciuta.
Peace, Unity, Brotherhood.

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Fanchinna

Re: Noble? Art? Sweet? Science?
« Reply #16 on: June 28, 2010, 16:47:29 pm »
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ultimamente sono in minoranza su quasi tutto
me ne sono fatto una ragione

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Offline Sunny K

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Re: Noble? Art? Sweet? Science?
« Reply #17 on: June 29, 2010, 07:26:31 am »
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Dato il mio amore per l'argomento, propongo uno spezzone che inizia a fare luce sulla concezione della boxe dall'interno.
Volevo copiare l'intera introduzione, ma dati i limiti di tempo attuali non ce la posso fare.

Come entrare nel giro
Un'introduzione
by F.X. Toole

Riproduciamo qui alcune pagine di Rope Burns [Lo sfidante], il libro da cui è stato tratto il film Million Dollar Baby.

Million Dollar Baby - Come entrare nel giro - Un'introduzione Sono arrivato alla boxe per scelta e per caso nella seconda metà dei miei quarant’anni. Ma mi ci ero già avvicinato quando ne avevo quindici. Mi stringevo insieme a mio padre davanti alla radio e ascoltavo impaziente le voci sferzanti di annunciatori come Bill Stern o Clem McCarthy che facevano la cronaca dei grandi match dell’epoca. Dopo qualche settimana, alle matinée da dieci cent, vedevo le immagini sgranate degli stessi combattimenti nei cinegiornali. Nel 1939 vidi «Due Tonnellate» Tony Galento mettere al tappeto «il Bombardiere Nero» Joe Louis.

Il Madison Square Garden finì per diventare la mia Camelot. Lì vidi Bobo Olson combattere contro Paddy Young durante le eliminatorie per i pesi medi, più o meno nel giugno del ’53. Ma al Garden andai per la prima volta nel 1952. L’Ottava Avenue tra la Quarantanovesima e la Quindicesima. Pugili dallo sguardo sfuggente davanti all’ingresso. Ristoranti greci, bar irlandesi, puttane da quattro soldi. Al Garden mi sentivo a casa come a Shubert Alley.
Mio padre era fanatico del pugilato, e lo adoravo per aver condiviso questo suo amore con me. Come tanti altri Mick e Paddy che erano arrivati qui come schiavi a contratto nelle stive delle navi, e che avevano visto buttare a mare le salme del 30 per cento dei loro, si era fatto coraggio con le storie dei grandi combattenti irlandesi. Sullivan e Corbett. Tunney e «Cucciolo di Bulldog» Mickey Walker, che combatté in ogni categoria, dai pesi welter a quelli massimi. Ascoltavamo Don Dumphy raccontare d’un fiato il match Louis-Conn.

Nel corso degli anni rimasi un fanatico del ring. Ad affascinarmi non erano solo la scienza e l’arte della boxe ma anche gli uomini che osavano mettere a repentaglio ogni singola fibra del corpo e dello spirito. Non ero attratto solo dai campioni, ma anche dai perdenti, che sul quadrato rischiavano tanto quanto i vincitori.
Ma che cosa significava in realtà «l’arte virile dell’autodifesa»? Che cosa la rendeva possibile?

Quello che mi incuriosiva di più nella boxe dal punto di vista fisico era come un pugile potesse battersi round dopo round, match dopo match, ancora e poi ancora. Prendersi una cornata, in una corrida, è sempre una possibilità, molto spesso inevitabile, ma la maggior parte delle volte il torero lascia l’arena incolume. Un pugile che si prepara per un incontro, invece, prende botte tutti i giorni, e le botte crescono con un’intensità omicida durante il combattimento. Colpisci senza farti colpire è la regola fondamentale della boxe. Ma tutti i pugili vengono colpiti, anche i migliori. E allora che razza di uomini erano quelli, se riuscivano a sopportare un supplizio simile abbastanza da diventare pretendenti, o addirittura campioni?
E come succedeva, e quanto ci voleva esattamente, prima che un ragazzino con i suoi sogni di gloria imparasse abbastanza da infilarsi tra le corde? E quanto è duro non solo allenarsi e combattere, ma anche imparare la scienza della boxe, quel meccanismo vero e proprio che ti fa sferrare i pugni, uno dopo l’altro?
È durissimo, cazzo. E alla base di tutta la faccenda poi c’è la domanda Cos’è che fa di un pugile un pugile?

[...]

Non c’è magia nelle risse di strada. Le risse possono rivelarsi letali, soprattutto se uno dei due è più grosso e forte dell’altro. Ma anche la boxe è concepita per essere letale, concepita per testare in modo letale la forza di volontà di entrambi i contendenti, concepita per far venir fuori chi comanda, chi tiene sotto controllo quel territorio magico costituito da un quadrato di canvas.

Anche la magia del pugile fa parte del mix, la magia che lo rende popolare in ogni parte del mondo, la magia che te lo fa vedere mentre combatte sul serio agli indiani contro i cowboy. Più elegante è il pugile – e non intendo elegante come le star del cinema nei film per ragazzine –, più duramente ha lavorato. E più elegante è il pugile, più soldi farà. Ma quello che dovete capire è che tra fare a botte e boxare c’è la stessa differenza che tra picchiare e fare a pugni, tra un cane randagio e un chihuahua. Per definizione, tirare di boxe e fare a pugni sono due cose letali. Perciò, essere capaci di boxare con eleganza ed essere letali produce la magia che fa impazzire il mondo intero.

La magia del ring è diversa da quella del teatro, perché il sipario non cala mai – e il sangue sul ring è sangue vero, e i nasi e i cuori che vanno a pezzi sono veri, e talvolta vanno a pezzi per sempre. La boxe è la magia di uomini nell’atto di combattere, la magia della volontà, della capacità, e del dolore, e di rischiare il tutto per tutto, così che uno possa rispettare sé stesso per il resto della sua esistenza. Un po’ come scrivere.

 

Da 'Rope Burns', trad. it. 'Lo sfidante', Garzanti, Milano 2001, pp. 11-12, 18.

Trovato su http://www.jgcinema.com/single.php?sl=136

Appena avrò un minuto in più scaverò fuori l'intero brano o mi improvviserò e-amanuense.
Peace, Unity, Brotherhood.