Ryu, aspetto con grande ansia. anche perché la questione 'risultato massimo nel breve termine Vs una pratica lunga una vita' mi è sempre sembrata una gran bufala da ciarlatani. infatti nel leggerla da fra' Tak ho sgranato gli occhi, però mi viene il dubbio che abbia sviscerato la questione più a fondo di quanto l'abbia fatta io, e che io non l'abbia quindi letta nel modo corretto. infatti mi piacerebbe molto se voleste approfondire (casomai parte lo spinoff)
1. | Ho delle riflessioni ulteriori su quel termine, ma vi prego mettiamolo un attimo tra parentesi. Prometto in seguito di rimediare... |
1. | e allora chi pratica arti marziali non e' marzialista, praticar 3-4-5 volte alla settimana non fa di noi marizialisti, come studiare tutti i giorni filosofia per almeno 6 ore non fa cmq di me un filosofo |
Penso ci siano anche altri riferimenti nella nostra storia e cultura, dal (apparentemente) banale motto latino "mens sana in corpore sano" in poi ;)Ma infatti anche nella nostra cultura vi sono dei riferimenti straordinari. Prendo spunto dalla tua ultima precisazione, con una riserva: non credo affatto che quello che manchi sia l'aspetto spirituale e anche l'inconciliabilità tra scienza e spiritualità/religione è una tendenza esclusivamente contemporanea e non esclusiva: sono esistiti dei veri e propri "geni enciclopedici" (Goethe, Leibniz, Pascal e, più recentemente, Teilhard de Chardin) che credevano nella conciliazione tra i due piani, esprimendosi -non so assolutamente come abbiano fatto!!- a livelli straordinari in entrambi i campi, e non solo in quelli. :)
Quel che manca forse piu' di tutto e' l'aspetto spirituale, che e' stato visto a lungo come inconciliabile con la scienza e le discipline "fisiche"...soprattutto in ottica cristiana, vedasi ad esempiogli eccessi del "contemptus mundi"...[/spoiler]
Io credo che , appunto , il fulcro della questione sia da individuarsi nella " scala di priorità " all'interno della quale un'attività si colloca. Senza voler inneggiare al dilettantismo e senza sminuire l'importanza del " tendere all'eccellenza " in qualunque ambito dell'umana attività , mi sento di dire che in molti casi siamo non solo costretti ma anche avvantaggiati dal renderci conto che certe attività per noi collaterali possono benissimo essere praticate senza la pretesa della " scientificità ".Completamente d'accordo. Io credo che la validità o l'efficacia di certe attività (in cui comprendo anche una buona parte di quello che oggi ci è stato tramandato come arte marziale) non veniva valutata in base ai risultati o effetti ottenuti, quindi in base ad una visione scientifica, ma in base ad un sistema di valori (una gerarchia o "scala di priorità", come sostieni giustamente tu) differenti. Vi era un contesto culturale in cui certi riferimenti erano conosciuti da tutti o dati per scontato e quindi la tua arte aveva valore anche perché si rifaceva agli Otto Trigrammi, al Tao, allo Zen o all'ordine immutabile del Creato (per fare fare esempi a dir poco banali, per cui mi scuso), quindi per forza di cose doveva essere efficace, più che per la sua verifica pratica in combattimento. Infatti per questo era profondamente diverso dalle arti usate per la guerra (vedi anche lo sviluppo delle mani nude). Non che le metodologie contemporanee non abbiano una tale "antropopoiesi", anzi in un certo senso ancora maggiore, sono differenti i ritmi e le esigenze proprie dell'intera società contemporanea, che quindi determinano delle differenze. Ah, faccio rientrare in queste metodologie anche quello che oggi si spaccia per "autenticamente Tradizionale" (diffidate della purezza e dell'autenticità), che sono influenzate pesantemente dagli stessi fattori. ;)
Intendo sopratutto la monodimensionalita' di una persona.Un pezzo meraviglioso soprattutto nella parte finale, mio caro Cappellaio! Concordo: l'eccessiva iper-specializzazione è una cifra fondamentale della contemporaneità, d'altronde inevitabile visto lo sviluppo illimitato dei diversi saperi particolari. Si, la strategia della differenziazione e del rivolgersia professionisti specializzati nei loro ambiti mi sembra una buona strada, ne sono convinto. Aggiungo soltanto che credo che bisognerebbe creare anche nelle arti marziali quella che Bertalannfy[1] chiamava "un'equipe di generalisti scientifici", farli dialogare assieme per non avere un semplice mosaico scollegato (leggi: "misto frutta"), ma un sistema con una sua organicità. Poi abitualmente lavorano nei loro rispettivi settori. Ed è quello che sta succedendo oggi con i migliori esponenti delle MMA. :)
Investire tutta la propria esistenza in una direzione e' una riduzione dell'uomo,non un suo accrescimento.
Questo dovrebbe piuttosto tendere ad essere poliedrico, multiforme, polutropon.
Cosi' come bisogna prendere atto del fatto che la cultura sta profondamente cambiando,passando da una intensiva ad una estensiva.
Anche nelle arti marziali, non si studia piu' una sola disciplina per tutta la vita,ma si studia tutto.
Insomma,il mito della vita marziale omnicomprensiva sta tramontando e bisogna dargli il colpo di grazia.
Non c'e' piu' bisogno di arraffazzonare elementi di spiritualita',di filosofia, di allenamento fisico nella propria pratica marziale inseguendo senza motivo una autonomia di questa arte/disciplina, molto meglio aprirsi e rivolgersi ad altri specialisti, esplorare ed unire saperi diversi.
Filosofia sui libri, spiritualita nel tempio (qualsiasi esso sia),allenamento fisico in palestra, tecnica sul tatami.
1. | In generale la Teoria dei Sistemi e tutti i saperi interdisciplinari sono un ottimo esempio di questa direzione. |
Semmai il discorso è legato anche all'usura del praticante. Una disciplina che mira all'ottenimento del risultato agonistico prevede un picco delle prestazioni legato a particolari fattori, per creare alcuni dei quali l'atleta sottopone il proprio organismo a sollecitazioni che non sono pensate in un'ottica di preservazione a lungo termine.Ciao Saburo,
1. | Per cui ti faccio i miei auguri, se non te li ho già fatti da un'altra parte... :ohi: |
Investire tutta la propria esistenza in una direzione e' una riduzione dell'uomo,non un suo accrescimento.
Questo dovrebbe piuttosto tendere ad essere poliedrico, multiforme, polutropon.
1. | Di cui percepisco solo un’eco lontana. |
2. | Principi che possono trarre origine dal bagua, o dal taiji, o dai cinque elementi, o da altro. |
Investire tutta la propria esistenza in una direzione e' una riduzione dell'uomo,non un suo accrescimento.
Questo dovrebbe piuttosto tendere ad essere poliedrico, multiforme, polutropon.
E se fosse proprio questo il senso della risposta di Wang Fu Lai a TakuanZen?
Mi spiego.
Ribaltando il punto di vista, non potrebbe darsi che "uomo perfetto" o "uomo integrale" si riferisca non a chi fa delle arti marziali (di “una” arte marziale) il senso della sua vita, quanto piuttosto a colui il quale porta nella sua vita quotidiana (poliedrica e multiforme) la stessa dedizione e impegno necessari in una pratica marziale?
In tal senso, ponendosi nell’ottica delle arti marziali cinesi[1], le frasi riportate da TakuanZen ("L'arte marziale si sviluppa lungo un intera vita"; "L'arte marziale coincide con la vita stessa") potrebbero assumere un significato diverso: se ogni pensiero, parola o azione della vita quotidiana venisse eseguita seguendo i principi posti alla base di una arte marziale[2] e con lo stesso spirito con il quale il praticante apprende o esegue la sua arte, ecco che tutta vita e l’uomo (o la donna) che persegue questa via diventerebbero “gongfu”.Spoiler: show
1. Di cui percepisco solo un’eco lontana. 2. Principi che possono trarre origine dal bagua, o dal taiji, o dai cinque elementi, o da altro.