La Leggenda Buddista del Nord, sulla discesa di AVALOKITEŠWARA nell'inferno

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(dal Kâra.n.da-vyûha)
INDIAN ANTIQUARY, A Journal of oriental research. VOL. VIII - 1879 .--
[Bombay, Education Society's Press] (Digitalizzato e cura di Christopher M. Weimer, aprile 2002. (La Leggenda Buddista del Nord, sulla discesa di AVALOKITEŠWARA nell'inferno AVÎCHI)
Del prof. EDWARD B. Cowell, M.A., Cambridge
Tratto da  http://www.sacred-texts.com/journals/ja/tbg.htm
Traduz. Di Aliberth Meng          

Una delle più notevoli caratteristiche del Buddismo del Nord, presente in Nepal, Tibet, Mongolia, e Cina, distinto da quello del Sud presente in Ceylon, Birmania, e Siam, è il culto di venerazione al Bodhisattwa Avalokitešwara. Questo grande Bodhisattwa[1] è ritenuto essere il figlio di Buddha Amitâbha che regna nel cielo occidentale Sukhâvatî; a lui è attribuita la famosa formula Om ma.ni padme hûm, ed è considerato come il santo tutelare del Tibet. In Cina, è adorato in una forma femminile (corrispondente a quanto pare alla nozione indù di divinità personificata della šhakti, o potere), come Kwan-yin, o Dea della Compassione, e il Rev.do S. Beal ha tradotto il Servizio Confessionale a lei destinato, nel secondo volume (della nuova serie) del Journal of the R. A. Society [2] (pp. 403-425).
Il nome e gli attributi di Avalokitešwara erano del tutto sconosciuti ai Buddisti del Sud, e il suo culto è una delle successive aggiunte che essi stessi hanno allegato al più semplice sistema originale, come si era diffuso attraverso l'India arrivando, infine, in Cina ed in Giappone.
 Noi non siamo in grado di dire quando questa nuova divinità sorse nell’orizzonte popolare, ma vi sono diverse indicazioni che possono aiutarci a fissare approssimativamente la data. Burnouf ha osservato che il primo e più semplice del libri del Nord non conteneva alcuna allusione a questo culto. "Ce nom n'est pas cité une seule fois dans les Sûtras, ni dans les Légendes de l'Avadâna Šataka, ni dans celles du Divya-Avadâna, tandis qu'il figure au premier rang dans notre Lotus bonne de la loi"… (Introd. Pag 115).
  Fa Hian, il viaggiatore Cinese, che si recò in India dal 399 al 414 d.C, dice espressamente (cap. xvi) "Uomini che appartengono alla Grande Tradizione venerano la Prajnâ Pâramitâ, Manjušrî e Avalo-kitešwara"; e in un successivo capitolo descrive che egli stesso invocò Avalokitešwara quando si trovò esposto a una tempesta, durante il suo viaggio di ritorno da Ceylon alla Cina. Anche Hiwen Thsang (che si recò in India nel settimo secolo) è ben introdotto a questo santo, e parla di lui in diversi punti. Egli trova sue statue in Kapiša, a sud dell’Hindu-Kush, in un monastero in Udyâna, e nel Kashmir, ed anche cita un celebre statua, sulle rive del Gange, famosa per il suo potere di operare miracoli.
  Le due più note opere del Nord che contengono dettagliate informazioni riguardo ad Avalokitešwara sono il Kâra.n.da-vyûha e il Saddharma-Pu.n.darîka; quest'ultimo appartenente alla collezione di nove libri che, sotto il nome di 'nove dharma', è considerato con grande venerazione in Nepâl. Inoltre, esso è stato tradotto da Burnouf come ‘Le lotus de la bonne loi’(Sutra del Loto della Buona Legge); il testo primitivo è stato recentemente pubblicato a Calcutta, in un’originale serie di libri Sanskriti. L'editore non menziona dove ha trovato il sutra originale da cui ha stampato il suo testo, ma probabilmente esso era uno dei tanti MSS. presentati da Mr. B.H. Hodgson alla Bengal Asiatic Society, tra il 1824 e il 1839.
   Il ventiquattresimo capitolo del ‘Lotus-Sutra’ è dedicato alle lodi verso Avalokitešwara. E’ detto che pronunciare il suo nome anche solo una volta ha un merito uguale come il venerare in continuità tanti Buddha, quanti sono i granelli di sabbia in sessanta-due Gange, ed invocare il suo aiuto in ogni difficoltà o dolore porta una certa liberazione. Egli è anche rappresentato mentre assume varie forme in diversi mondi per proclamare il Dharma del Buddha alle diverse creature; ad alcuni egli appare sotto la forma di un Buddha; ad altri di un Bodhisattwa, ad altri ancora di Brahmâ, Indra, Mahešwara o anche di un monarca universale, un Brâhman o un Pišâcha, "al fine di insegnare il Dharma a quegli esseri, così da essere convertiti dai loro rispettivi insegnanti". Il ‘Lotus-Sutra’ è menzionato da Hiwen Thsang, e quando visitò la montagna G.ridhrakû.ta nel Sud Bihâr, egli espressamente aggiunge che sotto il lato meridionale del monte vi era uno stûpa, e "fu qui che anticamente il Buddha spiegò il ‘Sutra del Loto della Buona Legge’."
  Il Kâra.n.da-vyûha ha come suo argomento principale tutta la gloria di Avalokitešwara, e verso la fine del libro abbiamo illuminanti resoconti dell'efficacia del celebre ‘mantra’ che gli è attribuito. Il testo si trova in due diversi recensioni, una in prosa, l'altra in versi. Quest'ultima è stata analizzata in parte da Burnouf (Introd., pp. 220-231), ma evidentemente è la versione più moderna; la versione in prosa di Parigi, tuttavia, era troppo difettosa perché egli riuscisse a tradurla. Questo difetto è stato ora compensato dal testo di Calcutta.
 La particolare caratteristica di Avalokitešwara, in quanto adorato da tutti i Buddisti del Nord, è che egli ha dichiarato che il suo scopo, sotto il più solenne giuramento, è di manifestare se stesso ad ogni creatura nell'universo, al fine di liberare tutti gli esseri dalle conseguenze del peccato [3].
 I primi capitoli del Kâra.n.da-vyûha descrivono la discesa di Avalokitešwara nell’inferno Avîchi, per liberare le anime ivi tenute imprigionate da Yama, il Signore del Mondo degli Inferi. Siccome questo mi sembra avere una curiosa analogia con l’apocrifo ‘Vangelo di Nicodemo’, aggiungo una traduzione dal testo di Calcutta, che condensa solo occasionalmente il racconto in cui c’è l’abituale ripetizione delle scritture Buddiste del Nord.
 Il Kâra.n.da-vyûha (o, 'coordinamento del canestro delle eccellenze di Avalokitešwara') professa di essere uno scritto del discepolo Ânanda, il quale era presente al discorso originale pronunciato dal Buddha, e perciò inizia con la consueta formula ‘evam mayâ šrutam’, "così io ho udito".
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    Capitolo I. - Il testo si apre con la descrizione di un’assemblea che si tiene nel giardino Jetavana a Šrâvastî, dove il Buddha è circondato da una vasta folla di seguaci mendicanti, come pure da ancor più numerosi ascoltatori dal mondo spirituale, migliaia di Bodhisattwa, e i figli dei deva, con in testa Indra, Brahmâ, il Sole, la Luna, il Vento, Varu.na, e con innumerevoli Nâga, Gandharva e Kinnara, con le loro figlie Apsarasa, oltre a centinaia di migliaia di devoti laici di entrambi i sessi.
  "Quando la grande assemblea fu insieme riunita, improvvisamente fasci di luce fuoriuscirono dall’ inferno Avîchi, ed essendo stati così emessi, essi raggiunsero il monastero di Jetavana, e decorarono l'intero luogo. I pilastri sembravano essere intarsiati di celestiali pietre preziose, la parte superiore del tetto ricoperta d'oro, le porte, le scale, ecc., tutte d'oro, ed i terreni all’esterno riempiti con alberi del paradiso, con tronchi d'oro e foglie d’argento, e con appesi preziosi indumenti, perle, corone, e tutti i tipi di ornamenti, mentre l'occhio poteva spaziare sopra laghi pieni di acqua [4] e vari tipi di fiori.
    Capitolo II. - "Poi, in mezzo a quella assemblea, dal suo seggio si alzò un nobile Bodhisattwa di nome Sarva.nîvara.navishkambhin, e dopo essersi posto su una spalla la sua veste superiore e al suolo piegato il suo ginocchio destro, mettendo le sue mani sulla fronte, e girandosi reverenzialmente verso il Buddha, così si rivolse a lui, 'Io sono pieno di meraviglia, o Santo; da dove provengono questi raggi? Di quale Tathâgata essi sono la visibile maestà?'
 "Il Buddha rispose: 'Questa non è la maestosità di un Tathâgata [5]; O nobile giovane, il glorioso Bodhisattwa Avalokitešwara è entrato nel grande inferno Avichi e, dopo avervi liberato gli esseri, egli sta entrando nella città dei preta [6], Quindi è così che questi miei raggi possono esser stati emessi'.
 "Allora il Bodhisattwa Sarva.nîvara.navishkambhin disse al Buddha, 'O Santo, quali esseri si trovano in Avîchi? Che lì non vi sia gioia (vîchi) è noto, egli perciò sta predicando il Dharma? In Avîchi, il cui reame di ferro circondato da mura e bastioni è come un fuoco ininterrotto, come un lampeggiante scrigno di gioielli. In questo inferno vi è un grande calderone pieno di gemiti, in cui miriadi di esseri vi sono gettati; così come una sorta di fagioli o legumi umidi che crescono e cuociono in una pentola piena di acqua bollente, così come possono questi esseri sopportare il dolore corporale in Avîchi. Come allora, o Santo, è potuto entrare lì il Bodhisattwa Avalokitešwara?'
 "Il Buddha rispose: 'O giovane nobile, come un imperatore entra in un giardino pieno di tutte le cose preziose, partecipando a tutti i suoi fasti reali, così Avalokitešwara è entrato nell'inferno Avîchi. Ma il suo corpo non è sottoposto ad alcun cambiamento. Quando egli si avvicina al'inferno, esso diventa freddo. Quindi, le guardie di Yama, disorientate e preoccupate, cominciano a pensare, 'Cos’è questo inauspicioso segno che è apparso in Avîchi?' Quando Avalokitešwara vi entra, quindi, vi appaiono fiori di loto grandi come ruote di un carro, e il calderone scoppiando si apre e all'interno, quel letto di fuoco si manifesta in un lago di miele’.
 "Allora le guardie di Yama, raccogliendo tutti i tipi di armi, spade, mazze, lance ecc., e tutte le armi difensive dell’inferno, vanno da Yama, il Signore della Giustizia, e dicono: 'Sappi, o Re, che il nostro campo d'azione [7] è stato distrutto, ed è diventato un luogo di piacere e pieno di ogni gioia'.
 "E Yama rispose: 'Qual è il motivo perchè il vostro campo d'azione è stato distrutto?'



"Le guardie risposero, 'O Signore, devi anche sapere che un segno inauspicioso è apparso in Avîchi, tutto è diventato tranquillo e fresco, e un uomo vi è entrato assumendo a volontà tutte le forme, con indosso fiocchi intrecciati e un diadema, coperto di ornamenti divini, con una mente troppo benevola, e come una sfera d'oro. Tale è l'uomo che è entrato, e subito dopo il suo ingresso sono apparsi fiori di loto grandi come ruote di un carro, e il calderone si è aperto con uno scoppio e all'interno di quel letto di fuoco si è manifestato un lago di miele'. Yama allora riflettè, 'Di quale Dio è questa la maestà? Di Mahêšwara, grande nel potere, o di Nârâya.na, adorato dai cinque oceani, o di uno degli altri figli degli Dèi che hanno ottenuto il vantaggio di tale preminente merito, ed è disceso in questo luogo, o è sorto un qualche Râkshasa, rivale di Râva.na?'. Così egli meditava, e guardando con il suo occhio divino non vide alcun potere del mondo degli dei [8] nè chi altro poteva avere tale potere.
 "Allora guardò di nuovo giù verso l'inferno Avîchi, e in esso vide il Bodhisattwa Avalokitešwara. Allora Yama, il Signore della Giustizia, si recò dove egli era, e dopo averlo salutato mettendo ai suoi piedi la sua testa cominciò a pronunciare la sua lode. 'Gloria a te, o Avalokitešwara Mahêšwara, Padmašrî, il Benefattore, il Vittorioso, il migliore Protettore della terra, ecc. [9]. Così dopo aver pronunciato la sua speciale lode, Yama circumambulò tre volte intorno al Bodhisattwa e se ne andò'.
    Capitolo III. - "Allora Sarva.nîvara.navishkambhin così si indirizzò al Buddha, 'Quando è ritornato indietro il glorioso Bodhisattwa Avalokitešwara?' Il Buddha rispose, 'Nobile figlio, egli è quindi uscito dall’inferno, ed è entrato nella città dei preta (spiriti sempre affamati). Centinaia di migliaia di preta accorsero davanti a lui, con forme come pilastri bruciati, lunghi come scheletri, con ventri enormi come montagne, e bocche piccole come occhielli di aghi. Quando Avalôkitešwara arrivò alla città dei preta, la città divenne fredda, i tuoni cessarono, mentre il guardiano della soglia, che teneva una lancia velenosa nella mano e gli occhi rossi di rabbia, improvvisamente cominciò a sentire l'influenza benevola del suo potere, e così disse: 'Io non ho nulla a che fare con un tale campo di lavoro'.
 "Allora il Bodhisattwa Avalôkitešwara, pieno di compassione avendo visto la dimora di quegli esseri, generò dieci fiumi Vaitara.nî  facendoli uscire dalle sue dieci dita delle mani, ed altri dieci dai suoi piedi, e nella sua grande compassione versò fiumi di acqua da tutti i suoi pori su quegli esseri così afflitti. E quando i preta assaggiarono quell'acqua, la loro gola si allargò e sciolse i loro arti, così che poterono saziarsi con un cibo dal sapore celestiale. Quindi, recuperando la coscienza umana, essi cominciarono a pensare alle cose mondane. ‘Ahimè! felici sono gli esseri di Jambudwîpa (cioè, questo mondo) che possono cercare il fresco, che possono vivere sempre vicini ai loro genitori, mogli e figli; che possono tagliare il sacro legname, e riparare i loro monasteri distrutti e fatiscenti e i loro tetti cadenti; che possono sempre attendere quelli che recitano, scrivono o leggono i libri sacri, e vedere i miracoli e le varie opere meravigliose dei Tathâgata, Pratyeka-Buddha, Arhat, e Bodhisattwa’.
 "Così meditando, essi abbandonarono i loro corpi di punizione da preta, e divennero in grado di ottenere ciò che desideravano. Quindi da Avalôkitešwara essi ricevettero il prezioso reale sûtra della 'grande traduzione', cioè, il kara.n.davyûha. Poi, dopo aver diviso con la folgore della conoscenza la montagna (coi-venti-picchi) dell’Illusione che fa credere che il corpo esiste [10], essi rinacquero tutti come Bodhisattwa nel mondo Sukhâvatî chiamato Âkânkshita-mukhâ.h. Poi, Avalôkitešwara, quando questi esseri furono liberati e rinati nella terra dei Bodhisattwa, venne via dalla città dei preta.
    Capitolo IV.- "Allora Sarva.nîvara.navishkambhin disse al Buddha, 'Come mai Avalôkitešwara tarda ancora a tornare?'
 "Il Buddha rispose, 'Nobile figlio, egli sta maturando l'esperienza di molte migliaia di miliardi di esseri; giorno dopo giorno egli viene a maturarle, non c’è mai stata una tale manifestazione del Tathâgata come quella del glorioso Bodhisattwa Avalôkitešwara'."
 Il Buddha poi descrive un'assemblea tenutasi in un precedente eone da un Buddha di nome Sikhin, che vide Avalôkitešwara venire a lui con un omaggio di fiori celestiali da parte di Amitâbha. Il Buddha Sikhin chiese dove egli stesse praticando le sue opere di merito. Avalôkitešwara rispose che egli sta visitando tutti gli innumerevoli inferni nell'universo, e di aver deciso di non voler acquisire egli stesso la perfetta conoscenza di un Buddha fino a che tutti gli esseri non siano stati non solo liberati dalle loro punizioni, ma non si siano stabiliti nel mondo del Nirvâ.na.
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  Ora, se leggiamo la seconda parte del ‘Vangelo Apocrifo di Nicodemo’, troviamo un curioso parallelo a questa leggenda. I due figli di Simeone, che alla morte di Cristo si dice che siano risorti dalle loro tombe, sono portati davanti ai sommi sacerdoti. Essi quindi chiesero dell’inchiostro, penna, e carta, e riferiscono di essere stati dal loro padre nel regno di Ade (gli Inferi), quando all’improvviso, "in questi oscuri luoghi, a mezzanotte apparve, per così dire, la luce del sole, così brillante che noi tutti fummo illuminati e potemmo vederci l'un l'altro". Allora Satana andò da Ade e gli parlò di Gesù, della sua crocifissione e morte, e gli dice di trattenerlo fermamente quando lui arriverà. Ade ribatte che Cristo ha da poco resuscitato Lazzaro, - "Io ti scongiuro, per il tuo vantaggio e il mio, di non portarlo qui, perché io credo che se egli verrà qui, lo farà allo scopo di resuscitare tutti i morti. E questo lo dico a te, dall’oscurità in cui stiamo, perché se tu lo fai portare qui, nessuno dei morti sarà lasciato a me".
 Mentre Satana e Ade stavano così dicendo, si sentì una gran voce come un tuono’, citando il Salmo XXIV,7. "E Ade dopo averlo udito, disse a Satana, 'Vai avanti tu se sei in grado di resistergli'. Satana, quindi, se ne andò via. Poi Ade disse ai suoi demoni, 'Assicurate bene e con fermezza le porte di bronzo e le sbarre di ferro, e tenete pronte  le mie saette, state all’erta e osservate tutto, perché se egli dovesse entrare qui, saremo in mezzo ai guai'. Sentendo queste cose, tutti gli avi e gli antenati cominciarono a rimproverarlo, dicendo: 'Razza di insaziabile divoratore, apri, affinchè il Re di Gloria possa entrare'...... Quindi si senti di nuovo la voce, 'Aprite le porte e sollevate le spranghe!' Udendo la voce una seconda volta, Ade rispose come se non capisse, e disse: 'Chi è questo Re di Gloria?' E gli Angeli del Signore dissero: 'Il forte e potente Signore, il potente Signore nella battaglia'. A quelle parole, immediatamente le porte di bronzo furono aperte e le sbarre di ferro furono sollevate, e tutti i morti che erano imprigionati furono liberati dai loro vincoli, e noi con loro. E il Re di Gloria entrò come uomo, e tutti i luoghi oscuri di Ade furono illuminati. Ade direttamente esclamò, 'Siamo stati sconfitti, Guai a noi!' ..... Allora, il Re di Gloria prese il capo-sovrano Satana per la testa, lo consegnò agli angeli, e disse: 'Mettete le catene alle sue mani e piedi, e collo e bocca'. Poi consegnò loro Ade, e disse: 'Prendetelo e tenetelo in sicurezza fino alla mia seconda venuta'. Allora Ade si avvicinò a Satana e gli disse: 'Belzebub, erede del fuoco e del castigo, nemico dei santi, per quale motivo tu hai deciso che il Re di Gloria doveva essere crocifisso, che doveva venire qui e rovinare tutti noi? Girati a vedere che nessuno dei morti mi è stato lasciato, ma tutto ciò che tu avresti avuto da guadagnare dall'albero della conoscenza, tu lo hai perso tutto sulla croce'."
 Dopodichè, Cristo poi benedice tutti i padri, a cominciare da Adamo, e si leva con essi in processione trionfale verso il Paradiso, dove li consegna all’ arcangelo Michele.
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La somiglianza delle due leggende è accidentale, o forse è possibile che, nel racconto Buddista, vi sia uno di quei leggeri riflessi dell’influenza Cristiana (derivata forse dai Cristiani Persiani stabiliti nella parte occidentale e meridionale dell’India), che il professor Weber ha riscontrato tracce nella dottrina della fede, come è insegnato nella Bhagavad Gîta, e in alcune delle scuole medioevali del Vedânta? Molto può dipendere dalla data del Vangelo Apocrifo di Nicodemo. Maury e Cowper lo avrebbero posizionato al primo periodo del quinto secolo, ma Tischendorf con maggiore probabilità lo riferirebbe al secondo[11]. Anche se l’attuale forma in cui abbiamo la leggenda è interpolata, gran parte di essa deve sicuramente essere di una data antecedente, e troviamo diretta allusione agli eventi descritti lì, nella pseudo omelia di Epifanio in ‘Sepulchrum Christi’, e nel XV° sermone di Eusebio di Alessandria [12]. Al tempo stesso non abbiamo alcuna ragione di supporre che la leggenda Buddista sia stata collegata con il primitivo culto di Avalôkitešwara. Essa non è accennata dai viaggiatori Cinesi in India, e la data del Kâra.n.da-vyûha può essere solo fin qui fissata, tanto che sembra essere stato tradotto in Tibetano nel IX° secolo[13]. -- Da The Journal of Philology, vol. VI. (1876), pp. 222-231.
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<<<< Finito di tradurre maggio 2008 - per conto del Centro Nirvana - senza scopo di lucro->>>>
http://www.centronirvana.it/articolieinoltre16.htm
« Last Edit: February 12, 2010, 04:07:39 am by Trepicchi »
...Sono il padrone del fuoco e vedo le cose nascoste, vedo la fiamma che si fa tempo, odo il flessibile fuoco del sacrificio sonoro sono un Unuzi, un bimbo davanti al mistero del mondo colmo di timore davanti al Fuoco, che ricompone le cose disperse..Preghiera di uno Sciamano Siberiano.***